Leopardi non era il Kurt Cobain della sua epoca

Poco più di un mese fa il regista Mario Martone ha presentato al festival del cinema di Venezia un film su Leopardi, ora nelle sale, sostenendo che il poeta e filosofo marchigiano fosse un ribelle, il Kurt Cobain della sua epoca. A me pare che i due personaggi abbiano poche cose in comune, come per esempio il numero 7: a 27 anni morì Cobain e il 1837 è l’anno di morte di Leopardi. Oppure l’ulcera di Cobain dovuta pare agli psicofarmaci che gli dava la madre per tenerlo buono perché era iperattivo, paragonata alla tubercolosi ossea di Leopardi e ai problemi agli occhi e alla respirazione fin dalla giovane età. Anche come conseguenza forse di questi mali fisici la sindrome bipolare affliggeva entrambi e li portava ad alternare momenti di euforia a momenti di down. Leopardi il suicidio l’ha solo tentato cercando di annegarsi nella fontana di casa a 19 anni, Cobain l’ha fatto veramente, come sappiamo bene (a meno che non crediate che sia stato ucciso). Entrambi poi sapevano essere molto ironici e sarcastici (“Mi dolgono i Tommasei” soleva dire Leopardi in tono canzonatorio verso il rivale Nicolò Tommaseo).  Ma le differenze sono più nette: Leopardi per quel che ne sappiamo non faceva uso di droghe, né abusava di alcol, al contrario di Cobain.

KurtCobain

Il quale era bello e piaceva alle donne, al contrario di Leopardi. Questi da giovane era classicista, infatti se vi leggete i suoi primi canti c’è un linguaggio e una retorica quasi proto fascisti. Mi riferisco per esempio alle canzoni All’Italia e A un vincitore nel pallone (citata anche nel film Il federale con Tognazzi). Leopardi criticava la chiesa e le religioni, ma criticava anche la scienza e il progressismo. Ai suoi tempi non esisteva ancora il conformismo borghese (e poi lui era nobile), non esisteva la società dei consumi di massa (e lui parlava di “società stretta”). Insomma quello contro cui si ribellava Leopardi mi pare molto diverso dalla “ribellione” di Cobain, il quale spesso fuggiva più che altro da se stesso, dalla fama e dal successo, che lui non voleva e aveva l’attitudine a prendersi gioco di tutto e tutti, mentre a Leopardi non sarebbe dispiaciuto essere famoso e celebrato. E poi i testi di Cobain mi paiono troppo allucinati ed evocativi per essere paragonati alle parole intrise di pensiero del recanatese. Ma poi: siamo sicuri che Cobain fosse veramente un ribelle? In che senso si può dire una cosa del genere? Contro cosa si ribellava? Forse, si potrebbe dire, contro il mainstream, dal momento che il grunge avrebbe dovuto rimanere un movimento underground. Una ribellione fallita dato il successo di Nevermind e le migliaia di ragazzini e ragazzine, anche ignorantissimi di musica e alieni al rock, che indossano, per ogni generazione da vent’anni, la maglietta dei Nirvana pensando di essere fichi. Da un lato scrittori come Poe, Rimbaud e Baudelaire mi paiono più facilmente associabili a Cobain, il quale collaborò con William Burroughs (il che potrebbe indurre a tracciare un percorso di affinità che va dai poeti maledetti dell’800 alla Beat Generation fino al grunge) dall’altro l’attitudine esistenzialista di Leopardi e i suoi momenti più neri e pungenti (evidenti nelle Operette Morali) mi fanno pensare piuttosto a gruppi come The Cure, Joy Division o Radiohead che ai Nirvana. Due ultime osservazioni: 1)non c’è bisogno di tirare in ballo la musica per rendere Leopardi interessante per i giovani (basterebbe per esempio insistere di più sulle Operette morali e sullo Zibaldone e un po’ meno su certi canti tipo Il sabato del villaggio o A Silvia), che poi tra l’altro i Nirvana sono un gruppo di 20 anni fa (ma almeno Martone non ha nominato Justin Bieber) 2)Cobain non è l’unico “ribelle” che si è “spento in fretta”, si poteva citare anche Jim Morrison (che provò anche a fare il poeta) o, rimanendo in ambito grunge, Layne Staley. Concludendo, quindi, sono persuaso che Martone e Elio Germano abbiano fatto un buon lavoro, anche se devo ancora vedere il film e dalle prime immagini l’attore assomiglia di più a Rino Gaetano che a Leopardi, ma lascerei perdere i paragoni musicali o li limiterei semmai alla canzone italiana (mi viene in mente Pierangelo Bertoli per esempio).

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Voglio dire: dobbiamo proprio rendere pop la cultura in maniera didascalica? Sarebbe più onesto ammettere che la noia è un valore importante, le persone più vicine agli dei sono quelle che stanno sedute per ore e ore senza parlare e fare nulla, Leopardi è stato un grande filosofo e poeta, abbiamo un sacco di professori e docenti che devono spiegare il perché e il percome di questo fatto a migliaia di studenti, non serve fare paragoni con la musica per rendere cool un personaggio come il grande scrittore e filosofo recanatese.  Ciò non toglie che l’idea di Martone di fare un film su uno scrittore la cui biografia non è certo ricca di avventure è stata un’operazione coraggiosa, anche se credo che gli sia riuscita meglio l’operazione di portare a teatro le Operette morali, per il semplice fatto che esse si prestano molto a questa trasposizione. Ripeto, il mio non è un giudizio critico su un film che non ho ancora visto, lungi da me una cosa del genere. La mia riflessione nasce dal paragone infelice di Martone con Kurt Cobain, paragone che mi spinge a pensare che tutto il film sia un’operazione simpatia nei confronti di un autore che i professori di liceo fanno fatica a far piacere agli studenti. Ma ci devono riuscire da soli, se un ragazzo può appassionarsi a logaritmi e derivate può appassionarsi anche a Leopardi, l’importante è non fissarsi con il nozionismo e cercare di trasmettere una giusta passione per un grande autore (spiegando perché è grande, magari).

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